I tetti di Kenìtra si stavano lentamente indorando alla luce del tramonto. Lontano il sole si immergeva voluttuosamente e senza fretta nell'oceano e il mondo sembrava essersi fermato per ammirarlo.
Anche la brezza leggera che aveva rarefatto l'aria nelle ore più calde del pomeriggio aveva smesso di respirare e tutto era immobile. La grande finestra che guardava a occidente incorniciava questo miracolo che si ripeteva spesso nelle tiepide serate che promettevano l'imminente primavera. Ogni cosa aveva assunto una tonalità bronzea: i campi, la sabbia della immensa spiaggia che si allungava di fronte al Lac Sidi Boughaba e la bassa vegetazione fino a qualche minuto prima verdeggiante.
Il Vecchio, seduto nella stanza avvolta dalla luce porpora e oro di quel sole incantato, si sarebbe potuto paralizzare di fronte allo splendore da cui era circondato, ma era distratto da altri pensieri. Leggeva e rileggeva quel messaggio che aveva ricevuto nell'istante stesso in cui la terra si accingeva a cambiare di colore. Aveva il volto preoccupato.
Tanti anni erano trascorsi da quando si era rifugiato in quell'angolo lontano di terra, in fuga da una vita che non gli apparteneva più, ma un lembo della sua anima era rimasta impigliata là dove era partito, dove la Signora era rimasta. Non l'avrebbe vista mai più, però un sottile filo non era mai stato spezzato. Si scrivevano spesso. Ogni sera quando rientrava nella sua casa era la prima preoccupazione del Vecchio: sedersi davanti al monitor come di fronte ad una sfera di cristallo sperando un messaggio attraverso il quale immaginarla ancora. Cose di poco conto, è vero, la Signora gli scriveva solo poche parole e il più delle volte sembravano solo frasi di circostanza. Lui rispondeva come era abituato fare, un racconto, una poesia, un soliloquio.
Solo quando Latifa entrò nella stanza e provocò un'ombra veloce sui suoi occhi passando davanti alla finestrona alzò la testa.
“ Shalom aleichem “ le disse il Vecchio,
“ Benvenuta nella mia casa “
Latifa rispose con un sorriso. Era con lui da parecchi anni: si occupava di tutto: cucinava, teneva in ordine, faceva le pulizie, acquistava il cibo e i vestiti. Anche lei era uno spirito espulso dalla vita. Donna Berbera, 'Amazigh' come lei si definiva, dalla bellezza antica e inquietante, elegante e silenziosa, aveva fatto un lungo viaggio per riparare nello stesso posto scelto dal Vecchio. Non si erano mai confidati sul loro passato ma bastava uno sguardo e si capivano: fuggivano dalle stesse miserie.
“ Devo partire ...” disse il Vecchio, “ è richiesta la mia presenza. Pensavo di non dover mai più ritornare ma le cose sono cambiate “.
“ Cosa è accaduto? “
“ Lo sai Latifa, lo sai da cosa sono fuggito anche se non te l'ho mai detto. Non so dirti perché ora accade improvvisamente che lei mi chieda di tornare dopo avermi scacciato, ma non voglio e non posso rifiutare. Forse è l'ultima occasione in cui potremo guardarci ancora negli occhi. ”
“ Vengo con te “
“ Non so se tornerò “
“ Non importa, se sarà necessario tornerò da sola. Tu hai bisogno di me “
Il Vecchio si alzò e prese una valigia dall'armadio che stava alle sue spalle. Era la stessa che aveva usato per fuggire. Quante volte, prima di partire per Kenìtra, aveva immaginato di doverla riempire con il necessario per due persone: l'altra era la Signora. Ma rimase vuota a metà. Ora riaprendola era come se ne uscissero tutte quelle sensazioni, quelle emozioni e quel dolore che aveva provato a quel tempo, prima di narcotizzarsi nella musica ipnotica, nei profumi di spezie, di menta e salsedine di quella terra lontana e meravigliosa.
I viaggi durano troppo poco. Si trovò improvvisamente di fronte alla casa della Signora. Era sempre quella. Le finestre socchiuse e uno strano silenzio, solo il raro tubare di piccioni appollaiati sul cornicione e il rumore di qualche automobile lontana che subito si affievoliva. C'era una luce limpida, fredda e tagliente che dava alle case un aspetto surreale, che squadrava tutte le forme, rendendo spigolosi e affilati anche gli alberi e un gatto che sonnecchiava sul cofano di una piccola vecchia auto nera.
L'anta di una finestra si socchiuse un istante, lasciando uno spiraglio ampio quanto basta per vedere un viso osservare i due stranieri immobilizzati di fronte al cancello. Dopo un minuto apparve un vegliardo segnato dalle rughe, malamente vestito e dall'andatura claudicante che si avvicinò. Non disse niente, squadrò i due visi stringendo gli occhi, come se cercasse riconoscerli.
Il Vecchio disse il suo nome.
“ La Signora ha chiesto sovente di lei “
“ Lo so, per questo sono venuto. Dov'è ? “
“ Mi segua “
Lo sconosciuto si avviò lentamente strascicando i piedi e ansimando ad ogni passo. Camminarono per alcuni minuti in silenzio. La mano raggrinzita e con le unghie gialle indicò un tumulo ancora umido di terra grassa e scura. La lapide era ancora posticcia.
“ Quando ? “ chiese il Vecchio.
“ Due giorni fa, proprio il primo giorno di primavera. “
Il Vecchio si avvicinò e si inginocchiò di fronte alla Signora.
“ Chi è ? “
domanda lo sconosciuto a Latifa.
“ E' le storie che racconta, ma più spesso quelle che scrive. Non so se qualcuno le abbia mai capite: parla una lingua strana “
Il Vecchio si rialza e chiede a Latifa di dire una preghiera, lui non ha un Dio a cui rivolgersi.
“ Siamo Allah e a lui ritorniamo “ declamò più volte nella sua lingua antica.
Il Vecchio si sentì come se fosse giunto in cima alla montagna. Ora vedeva tutto più chiaramente.
Era sera quando Latifa si avvicinò al suo letto porgendogli una tisana calda.
“ Dormi vecchio, dormi: ora ti attende il viaggio più lungo “.